La bellezza letteraria della Vita Nova dantesca prende corpo nel dipinto di Dante Gabriel Rossetti
Il profondo interesse per la pittura
Potrebbe sembrare un gioco
di parole, il poeta Dante la cui summa opera, la celeberrima Divina
Commedia, è rappresentata da un pittore che porta il suo stesso
nome; ma non è così. Dante Gabriel Rossetti ha da sempre nutrito una profonda passione per l'arte poetica e
pittorica, tanto che fu lui stesso a voler modificare il suo nome di
battesimo “Dante Gabriel” così
da conferigli un accento maggiormente letterario:
<<Fin
dall'infanzia tutto intorno a me era impregnato dell'influenza del
grande Fiorentino>>
dirà più tardi.
Ad alimentare la sua vena
artistica fu anche l'ambiente familiare ricco di fermenti culturali
che inevitabilmente ne corroborò l'inclinazione alle lettere e alle
belle arti (il padre nutriva un vero e proprio culto per Dante
Alighieri che Rossetti ereditò), discipline inscindibilmente legate
nei suoi dipinti, interpreti, attraverso il pennello, o degli scritti
dello stesso Rossetti o di quelli da lui tradotti, tanto da essere
definite “double work of art”.
Ed è proprio la poliedricità di Rossetti e la sua duplice
propensione alla poesia e all'arte
che costituirà lo sfragiv"
della sua produzione artistica.
L'influsso del Simbolismo e Decadentismo
Fu però l'interesse per
il Medioevo italiano che indirizzò Rossetti sempre più alla
pittura. Divenne il fondatore della Confraternitadei Preraffaelliti,
gruppo di artisti che intorno alla metà del XIX secolo,
stigmatizzando lo sterile classicismo di Raffaello e dei suoi
seguaci, perché “muto”, e incapace a dischiudere la verità
celata dietro le cose, recuperò le immagini medievali, ricche di
simboli e richiami alla purezza primitiva dei pittori
tre-quattrocenteschi.
Rossetti ereditò tutto il
gusto del mistico realismo da Charles Baudelaire, se pur non
il suo livore nei confronti della natura considerata maligna, e lo
mitigò attraverso l'interesse spasmodico per l'essenza delle cose
proprio del Simbolismo e Decadentismo europei, in cui
il nostro artista affonda le proprie radici: figlio del suo tempo, le
opere di Rossetti rappresentano un connubio perfetto di realismo e
simbolismo, misticismo e verità, religione e passione.
Il frutto della sua arte
quindi ha origine dall'interesse per le raffigurazioni sacre italiane
-da Giotto ai pittori prima di Raffaello- unito alle letture di Dante
stilnovista e al sentimento travolgente del Romanticismo
ottocentesco.
L'omaggio di Rossetti a Dante: la Beata Beatrix
Come avrebbe potuto
quindi, rendere onore al mito della sua infanzia, il grande
Fiorentino, nonché ancor prima l'oggetto di ammirazione del padre,
se non con “un'indagine pittorica” delle sue opere letterarie?
Decise così di ispirarsi alla Vita Nuova per omaggiare Dante
e al contempo l'amata moglie, Elizabeth Siddal, sua modella, morta
nel 1862 in seguito ad una dose letale di laudano, un tarassaco che
la donna aveva iniziato a prendere come rimedio alla depressione in
cui era caduta dopo aver partorito un bambino morto.
Beata
Beatrix (1872).
Dipinto ad olio presente al Tata Museum di Londra.
Il dipinto BeataBeatrix (1864-70, Londra, Tate Gallery) costituisce una rappresentazione
allegorica dell'amore attraverso il parallelismo fra la morte di
Beatrice Portinari, descritta nella Vita Nova dantesca (in particola
modo sezione XXXI, linee 24-28 “Li occhi dolenti per pietà del
core”) e quella dell'amata “Lizzy”, che agli occhi di Rossetti
assume un'aurea angelica e sacrale. Così ogni elemento del quadro
richiama ad una duplice lettura: quello dello sguardo di Dante e
quello del pittore.
In tutta la sua purezza
appare nel quadro Beatrice-Elizabeth (il colore fulvo della
chioma richiama alala moglie) in posa estatica, con gli occhi
socchiusi e le labbra rosee leggermente aperte, in attesa della sua
ascesa al cielo, le mani giunte come se stesse attendendo la
benedizione definitiva prima di salire in Paradiso. La sua sacrale
bellezza è ancor più messa in evidenza dall'aureola di luce dorata
che si irradia da dietro e la accoglie.
Sullo sfondo si stagliano
le figure di due uomini che potrebbero richiamare a Dante,
sulla destra, il quale osserva Beatrice mentre muore, quasi a
volerle dare l'ultimo addio insieme alla sua città, Firenze (ed
il ponte sullo sfondo raffigurerebbe proprio Ponte Vecchio), ma allo
stesso tempo, se leggiamo questi simboli attraverso gli occhi di
Rossetti, l'uomo sulla destra potrebbe essere l'autore stesso,
intento ad assistere all'ascesa al cielo dell'amata, ed il ponte non
sarebbe altro che il Battersea Bridge sopra il Tamigi.
Dietro la figura femminile
si trova poi una meridiana, ed è questa che ha colto in particolar
modo la mia attenzione (!): la meridiana segna il numero 9,
un numero che ricorre ossessivamente nella Vita Nova costituendo il
presupposto divino di Beatrice. È interessante notare come non
soltanto Dante incontri Beatrice per la prima volta all'età di nove
anni e la seconda volta, esattamente nove anni dopo alla nona ora del
giorno, ma che la morte di Beatrice (di cui Dante parla al capitolo
XXIX) avvenga il nono giorno del calendario arabico ed il nono mese
dell'anno per il calendario siriaco. Oltre a ciò, elemento a mio
avviso importantissimo per decriptare la simbologia del dipinto
rossettiano, è il fatto che nove sono anche i cieli mobili del
Paradiso secondo l'astronomia aristotelico-tolemaica.
Per concludere Dante
Gabriel Rossetti sta dicendo che la sua Elisabeth ha tutti i
requisiti della Beatrice dantesca e come lei giungerà in Paradiso.
Ecco il dolore dell'amante che prende forma nel dipinto.
La colomba rossa,
simbolo dell'amore, infine porge alla fanciulla un ramoscello di
papaveri, scelta non casuale in quanto è dai semi del papavero che
si ricava il laudano, la sostanza mortifera che uccise Elizabeth.
Ancora oggi mi risulta
incredibile credere quale fonte prolifica sia stata Dante Alighieri,
non soltanto per tutti gli artisti italiani che lo hanno portato a
vessillo della propria patria, ma anche per i letterati stranieri che
a lui si sono ispirati. Cerchiamo di ricordarlo quando si pensa alle
nostre radici culturali.
Isabel
Morellato
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