martedì 3 giugno 2014

La bellezza letteraria della Vita Nova dantesca prende corpo nel dipinto di Dante Gabriel Rossetti


La bellezza letteraria della Vita Nova dantesca prende corpo nel dipinto di Dante Gabriel Rossetti


Foto di Dante Gabriel Rossetti scattata dal fratello nel 1863


  • Il profondo interesse per la pittura


Potrebbe sembrare un gioco di parole, il poeta Dante la cui summa opera, la celeberrima Divina Commedia, è rappresentata da un pittore che porta il suo stesso nome; ma non è così. Dante Gabriel Rossetti ha da sempre nutrito una profonda passione per l'arte poetica e pittorica, tanto che fu lui stesso a voler modificare il suo nome di battesimo “Dante Gabriel” così da conferigli un accento maggiormente letterario:
<<Fin dall'infanzia tutto intorno a me era impregnato dell'influenza del grande Fiorentino>> dirà più tardi.
Ad alimentare la sua vena artistica fu anche l'ambiente familiare ricco di fermenti culturali che inevitabilmente ne corroborò l'inclinazione alle lettere e alle belle arti (il padre nutriva un vero e proprio culto per Dante Alighieri che Rossetti ereditò), discipline inscindibilmente legate nei suoi dipinti, interpreti, attraverso il pennello, o degli scritti dello stesso Rossetti o di quelli da lui tradotti, tanto da essere definite “double work of art”. Ed è proprio la poliedricità di Rossetti e la sua duplice propensione alla poesia e all'arte che costituirà lo sfragiv" della sua produzione artistica.


  • L'influsso del Simbolismo e Decadentismo


Fu però l'interesse per il Medioevo italiano che indirizzò Rossetti sempre più alla pittura. Divenne il fondatore della Confraternitadei Preraffaelliti, gruppo di artisti che intorno alla metà del XIX secolo, stigmatizzando lo sterile classicismo di Raffaello e dei suoi seguaci, perché “muto”, e incapace a dischiudere la verità celata dietro le cose, recuperò le immagini medievali, ricche di simboli e richiami alla purezza primitiva dei pittori tre-quattrocenteschi.
Rossetti ereditò tutto il gusto del mistico realismo da Charles Baudelaire, se pur non il suo livore nei confronti della natura considerata maligna, e lo mitigò attraverso l'interesse spasmodico per l'essenza delle cose proprio del Simbolismo e Decadentismo europei, in cui il nostro artista affonda le proprie radici: figlio del suo tempo, le opere di Rossetti rappresentano un connubio perfetto di realismo e simbolismo, misticismo e verità, religione e passione.
Il frutto della sua arte quindi ha origine dall'interesse per le raffigurazioni sacre italiane -da Giotto ai pittori prima di Raffaello- unito alle letture di Dante stilnovista e al sentimento travolgente del Romanticismo ottocentesco.


  • L'omaggio di Rossetti a Dante: la Beata Beatrix


Come avrebbe potuto quindi, rendere onore al mito della sua infanzia, il grande Fiorentino, nonché ancor prima l'oggetto di ammirazione del padre, se non con “un'indagine pittorica” delle sue opere letterarie? Decise così di ispirarsi alla Vita Nuova per omaggiare Dante e al contempo l'amata moglie, Elizabeth Siddal, sua modella, morta nel 1862 in seguito ad una dose letale di laudano, un tarassaco che la donna aveva iniziato a prendere come rimedio alla depressione in cui era caduta dopo aver partorito un bambino morto.

Beata Beatrix (1872). Dipinto ad olio presente al Tata Museum di Londra.

Il dipinto BeataBeatrix (1864-70, Londra, Tate Gallery) costituisce una rappresentazione allegorica dell'amore attraverso il parallelismo fra la morte di Beatrice Portinari, descritta nella Vita Nova dantesca (in particola modo sezione XXXI, linee 24-28 “Li occhi dolenti per pietà del core”) e quella dell'amata “Lizzy”, che agli occhi di Rossetti assume un'aurea angelica e sacrale. Così ogni elemento del quadro richiama ad una duplice lettura: quello dello sguardo di Dante e quello del pittore.
In tutta la sua purezza appare nel quadro Beatrice-Elizabeth (il colore fulvo della chioma richiama alala moglie) in posa estatica, con gli occhi socchiusi e le labbra rosee leggermente aperte, in attesa della sua ascesa al cielo, le mani giunte come se stesse attendendo la benedizione definitiva prima di salire in Paradiso. La sua sacrale bellezza è ancor più messa in evidenza dall'aureola di luce dorata che si irradia da dietro e la accoglie.
Sullo sfondo si stagliano le figure di due uomini che potrebbero richiamare a Dante, sulla destra, il quale osserva Beatrice mentre muore, quasi a volerle dare l'ultimo addio insieme alla sua città, Firenze (ed il ponte sullo sfondo raffigurerebbe proprio Ponte Vecchio), ma allo stesso tempo, se leggiamo questi simboli attraverso gli occhi di Rossetti, l'uomo sulla destra potrebbe essere l'autore stesso, intento ad assistere all'ascesa al cielo dell'amata, ed il ponte non sarebbe altro che il Battersea Bridge sopra il Tamigi.
Dietro la figura femminile si trova poi una meridiana, ed è questa che ha colto in particolar modo la mia attenzione (!): la meridiana segna il numero 9, un numero che ricorre ossessivamente nella Vita Nova costituendo il presupposto divino di Beatrice. È interessante notare come non soltanto Dante incontri Beatrice per la prima volta all'età di nove anni e la seconda volta, esattamente nove anni dopo alla nona ora del giorno, ma che la morte di Beatrice (di cui Dante parla al capitolo XXIX) avvenga il nono giorno del calendario arabico ed il nono mese dell'anno per il calendario siriaco. Oltre a ciò, elemento a mio avviso importantissimo per decriptare la simbologia del dipinto rossettiano, è il fatto che nove sono anche i cieli mobili del Paradiso secondo l'astronomia aristotelico-tolemaica.
Per concludere Dante Gabriel Rossetti sta dicendo che la sua Elisabeth ha tutti i requisiti della Beatrice dantesca e come lei giungerà in Paradiso. Ecco il dolore dell'amante che prende forma nel dipinto.
La colomba rossa, simbolo dell'amore, infine porge alla fanciulla un ramoscello di papaveri, scelta non casuale in quanto è dai semi del papavero che si ricava il laudano, la sostanza mortifera che uccise Elizabeth.
Ancora oggi mi risulta incredibile credere quale fonte prolifica sia stata Dante Alighieri, non soltanto per tutti gli artisti italiani che lo hanno portato a vessillo della propria patria, ma anche per i letterati stranieri che a lui si sono ispirati. Cerchiamo di ricordarlo quando si pensa alle nostre radici culturali.




Isabel Morellato



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