Dante “sbarca” nel Nuovo Continente
Il cadenzare delle terzine dantesche ha risuonato in
tutta Europa diffondendosi, in seno alle colonie italiane di rilievo
createsi all'estero, inizialmente in Europa: in Svizzera (Ginevra,
1894; Zurigo, 1895), in Belgio (Liegi,1894) e in Francia (Marsiglia,
1895), dove i nostri connazionali emigravano in cerca di lavoro. Qui
si svilupparono le prime traduzione della Divina che innescarono il
processo di conquista dei lidi stranieri da parte del nostro Poeta.
Ma
come possiamo spiegarci la migrazione di Dante in America? Fu
l'Inghilterra l'anello di connessione fra Vecchio e Nuovo
Continente in quanto nella brulicante Gran Bretagna dell'età
elisabettiana si era sviluppato un interesse sempre più crescente
per la lingua e la letteratura italiana, che, dopo un breve
intervallo, riprese all'inizio dell'Ottocento. La Divina Commedia
trovò un terreno singolarmente fertile negli Stati Uniti
d'America riscontrando un ampio numero di lettori interessati già
dopo la
sua prima traduzione in lingua britannica-americana da parte del
poeta Henry Wadsworth Longfellow nel 1867. Wodsworth
non operò da solo per svolgere l'arduo onere ma fu aiutato da
altri illustri connazionali quali il poeta James Russell Lowell,
il dottor Oliver Wendell Holmes, lo storico George Washington
Greene, l'editore James Fields ed il professore di storia
dell'arte Charles Norton i quali costituirono due anni prima si
erano riuniti in un circolo presso la casa di Logfellow a
Cambridge, nel Massachussets, per intraprendere l'impresa, circolo
che nel 1881 divenne ufficialmente “The Dante Society of America”.
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Certo
che Dante dovette aspettare un po' prima di conquistare il plauso e
il gusto degli abitanti oltreoceano, anche perché l'immagina
dell'America estroversa ed elettrizzante, in cui cinema e burlesque
la facevano da padroni potrebbe sembrarci quanto di più lontano
dalla linearità e profondità della letteratura dantesca. Ma così
non è in quanto dietro la facciata scanzonata e lussuriosa del
Nuovo Mondo si nascondono fattori
etico-religiosi complessi e di molto rilievo che
ne determinano la struttura, ciò che lo
studioso di puritanesimo Perry Miller
definì “sotterranea corrente”.
Il puritanesimo abbraccia Dante
I gruppi puritani, perseguitati in Inghilterra
attraversarono l'Atlantico a bordo della “Mayflower” nel 1620 e
fondarono nelle vicinanze di Cape Cod la colonia di Pymouth. Il
puritanesimo, esasperava il principio puritano delle coscienze
libere, del rapporto diretto e personale fra uomo e Dio, oltre ad
avere una congenialità e apertura, ereditata dalla cultura
medievale, verso le simbologie ed allegorie che sappiamo costellano
l'ordito della tela dantesca, tanto che l'eminente teologo puritano
John Cotton (1584-1652) aveva elencato anche Dante fra coloro che
erano stati chiamati da Dio in persona affinché preparassero lo
spirito del cristianesimo protestante e testimoniassero a favore
della “prima rinascita” cui sarebbe seguita, una completa
“resurrezione” del cristianesimo fondato sul “mistero del
Vangelo”, ad opera del protestantesimo,
È
certo che per la cultura puritana, caratterizzata da un tenace labor
limae interiore,
da un'ossessiva analisi dei temi del peccato e della ssalvezza, La
Divina
Commedia giocasse un ruolo da protagonista,
quale vademecum
del retto puritano,
dell'uomo che non ricerca il rapporto con dio tramite il Papa, bensì
rivendica un dialogo proprio e personale.
Il periodo romantico
Nella
seconda metà del XVIII secolo il puritanesimo incontrerà le
tensioni e inquietudini preromantiche, il cui gusto per l'eccelso ed
il sublime trovavano un'eco nella Divina Commedia tanto che non può
destare stupore il fatto una delle prime traduzioni apparsa in
America nel 1791 riguarda il famosissimo episodio del conte Ugolino
in cui il pathos e l'orrido costituiscono gli elementi essenziali.
L'autore William Dunlap (1766-1839), scrittore, pittore, abile
regista e operatore culturale,
tradusse in pentametri giambici (verso incalzante atto a cadenzare il
ritmo tetro e abominevole della scena) i vv.46-75 di If. XXXIII.
Al
1843 risale invece la traduzione dei primi dieci canti della Commedia
da parte di
Thomas W. Parsons (1814-1873),
pubblicata a Boston. Ciò che interessa maggiormente di Dante è la
sintesi storico. Culturale che prende vita nella sua opera attraverso
gli occhi del protagonista che la vive personalmente: è l'esplosione
più forte dell'io. Lo stesso interesse però riguarda anche la
struttura che regge tutta quanta la Commedia e la simbologia
intrinsecamente correlata a questa.
C'è
anche da dire che il dantismo costituiva un
gradino importante della scala culturale che i giovani talenti di
Harvard e Boston
dovevano percorrere, una scala in cui l'uomo e le indagini su di esso
erano il punto focale. Fu proprio da questo background culturale che
nacque l'idea di Longfellow di dare una veste inglese, su suolo
americano, al poema dantesco.
Il Novecento
Nel Novecento gli studi danteschi sono giunti a piena
maturazione con originali e e notevoli contributi, pur risentendo
sempre degli apporti europei. Devono essere citati per la cronaca
C.A. Dinsmore, Charles H. Grandgent al quale si deve la prima
edizione americana annotata del testo della Commedia (1907-13 e
1932), di Kenneth McKenzie che ha curato la prima edizione commentata
della Vita Nuova (1922). Le università di Harvard e Cornell
posseggono le più ricche collezioni di letteratura dantesca fuori
d'Italia.
In nessuna lingua Dante è stato tradotto quanto in
inglese; delle più di ottanta versioni della Commedia (una o più
cantiche) apparse dal 1782 ad oggi, ventidue sono opera di americani;
delle dodici versioni in inglese apparse dal 1945, nove sono
americane, inoltre le pubblicazioni e le manifestazioni che si sono
avute in occasione del settimo centenario della nascita di Dante
hanno riconfermato i grandi passi in avanti compiuti dagli studi
danteschi negli Stati Uniti.
Isabel
Morellato
Per
maggiori informazioni cf.
http://www.30giorni.it/articoli_id_10476_l1.htm
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