Dante è cattolico? Perché un uomo politico del 1300 decide di scrivere un'opera ambiziosa quanto la Bibbia? Cosa pensa il Vaticano dei papi condannati all'Inferno?
Dante afferma che il suo viaggio è stato voluto da Dio, ecco perché può permettersi di scrivere la Divina Commedia. Scopriamo alcuni misteri del poeta-profeta.
Il Vaticano omaggia la Divina Commedia
Dante immagina di compiere il suo viaggio nell'Aldilà nel 1300: anno del primo Giubileo della storia della Chiesa. Al termine del viaggio, dopo aver visto Dio, scrive la Divina Commedia, il cui senso – ispirare amore, redenzione e virtuosi comportamenti al fine di evitare l'eterno Inferno – rispecchia perfettamente il Credo dei cattolici.
Ma la Divina
Commedia è anche piena di
provocazioni alla chiesa cattolica.
Nel suo viaggio immaginario, Dante incontra tre papi - Niccolò III, Clemetino V e Bonifacio VIII - all'Inferno, fra i simoniaci della III Bolgia dell'VIII Cerchio, condannati a stare a testa in giù all'interno di buche circolari, con le gambe levate in aria e le fiammelle che lambiscono i loro piedi. Bonifacio VIII era, inoltre, il papa in carica ai tempi di
Dante e fu proprio colui che indisse il primo Giubileo per
pregare e riconciliarsi a Dio, ma anche per lucrare sulle indulgenze e sulle cariche ecclesiastiche.
Come mai la Chiesa cattolica ha voluto onorare in tal modo la memoria di Dante? È lo stesso papa Paolo VI che, nella lettera Altissimi Cantus del 1965, spiega il profondo interesse della Chiesa cattolica per la figura di Dante Alighieri. Nell’Enciclica In Preclara Summorum, Benedetto XV sostiene che Dante ha professato in modo esemplare la religione cattolica, mentre sempre Paolo VI ha fatto istituire una Cattedra di Studi Danteschi all'Università Cattolica di Milano e ha affermato che Dante è nostro: "nostro" nel senso di universale, ma anche "nostro" nel senso della fede cattolica. Ovvero Dante è cattolico.
La Divina Commedia come la Bibbia
Ma che senso ha avuto per Dante scrivere la
Divina Commedia? Dante Alighieri era un
cittadino di Firenze, impegnato politicamente, ma senza altri meriti
o cariche di particolare rilievo: era infatti nobile
più nell'animo che nei titoli.
Dante afferma di aver fatto un
viaggio nell'Aldilà e, dopo aver visto
l'Inferno,
il Purgatorio
e il Paradiso,
è arrivato anche a vedere Dio (un'affermazione che potrebbe sfiorare l'eresia). E il racconto di quel
viaggio è la Divina Commedia,
un'opera che non ha precedenti.
Secondo Charles
Singleton, autore del volume La
poesia della Divina Commedia
(Bologna, Il Mulino, 2002), Dante pretende che i lettori credano alla
assoluta verità della sua finzione, ovvero credano che egli abbia
intrapreso per davvero il suo viaggio-visione. Inoltre, la Divina Commedia ha anche un significato allegorico e simbolico che pretende
di essere vero e universale: il
viaggio di Dante riassume in sé il viaggio dell'intera umanità , dal
peccato alla salvezza.
E qual è l'altra imponente opera ha le stesse
ambiziose caratteristiche? La Bibbia.
Ma la Bibbia può permettersi tutte le sue allegorie e le sue metafore perché è stata scritta da
Dio, e dunque è veritiera.
Dante è consapevole di non essere Dio, né di poter pretendere che i lettori gli attribuiscano un ruolo così alto. Per risolvere questo conflitto, Dante afferma che è stato Dio a volere il suo viaggio. Questa è la sua più grande astuzia e ingegnosità .
Il sommo poeta fiorentino, assumendo il ruolo di un profeta che parla per volontà del Signore, può permettersi di mettere all'Inferno papi e personaggi storici per i quali non prova ammirazione, può permettersi di giudicare i comportamenti giusti o sbagliati degli esseri umani, mostrando loro le pene e le sofferenze eterne che dovranno subire, e può permettersi di insegnare, dunque, qual è la retta via.
Dante è consapevole di non essere Dio, né di poter pretendere che i lettori gli attribuiscano un ruolo così alto. Per risolvere questo conflitto, Dante afferma che è stato Dio a volere il suo viaggio. Questa è la sua più grande astuzia e ingegnosità .
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La visione di Dio |
Il sommo poeta fiorentino, assumendo il ruolo di un profeta che parla per volontà del Signore, può permettersi di mettere all'Inferno papi e personaggi storici per i quali non prova ammirazione, può permettersi di giudicare i comportamenti giusti o sbagliati degli esseri umani, mostrando loro le pene e le sofferenze eterne che dovranno subire, e può permettersi di insegnare, dunque, qual è la retta via.
La visione di Dio nell'ultimo Canto del Paradiso
Nell'ultimo Canto del Paradiso della Divina Commedia,
Dante afferma di aver visto Dio. Si tratta, però, di una visione che non
si può raccontare. Dante cerca di spiegare nel concreto ciò che ha visto,
ma l'immagine di Dio non gli è rimasta impressa nella sua mente, perché si tratta di un qualcosa talmente
superiore a ogni logica umana che la sua mente non è stata in grado
di catalogarla e memorizzarla.
Ciò che rimane, invece, è che Dante è
riuscito comunque a vedere Dio, anche se non riesce a ricordarlo.
Dopo aver superato i dannati dell'Inferno e le genti del Purgatorio,
il sommo poeta fiorentino è arrivato fino all'incontro
con il Creatore, meta ambita da
chiunque cattolico.
Amando e rispettando il volere il Dio, ognuno può arrivare al Paradiso e incontrare il Signore. La Divina Commedia mira, dunque, a glorificare la giustizia e la provvidenza di Dio, instaurando un rapporto uomo-fede, finalizzato all'incontro con Dio.
Amando e rispettando il volere il Dio, ognuno può arrivare al Paradiso e incontrare il Signore. La Divina Commedia mira, dunque, a glorificare la giustizia e la provvidenza di Dio, instaurando un rapporto uomo-fede, finalizzato all'incontro con Dio.
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